In breve
L’angina è un termine che deriva dal latino angor (soffocamento) e si riferisce ad alcuni tipici sintomi causati ad esempio da ridotto afflusso sanguigno al cuore oppure da infiammazione a livello delle tonsille. Il più delle volte si parla di angina pectoris, ossia un dolore fitto a livello del torace; in questo caso il paziente è solitamente correlata all’aterosclerosi e, conseguentemente, ne condivide i fattori di rischio, tra i quali si annoverano la predisposizione genetica, l’inattività fisica, il fumo, l’obesità e il diabete mellito. Se il lume di un vaso si ostruisce di circa il 70% si manifesta il senso di soffocamento; altre cause possono essere l’aritmia (se caratterizzata da alta frequenza cardiaca) e l’embolia polmonare. Solitamente il dolore dura una quindicina di minuti e si irradia anche al braccio sinistro, alla scapola, fino a volte alla mandibola e allo stomaco. L’angina pectoris si definisce stabile se si presenta sempre alle stesse condizioni, in modo particolare se l’individuo è sotto sforzo; è anche presente la forma instabile, che può manifestarsi a riposo e, se prolungata nel tempo, può sfociare nell’infarto del miocardio; soprattutto in quest’ultimo caso è importante non sottovalutare il problema e cercare di comprendere subito la causa del dolore intervenendo tempestivamente. Esistono poi tre forme specifiche di questo fenomeno: l’angina variante, la sindrome X cardiaca (entrambe caratterizzate da un particolare tracciato dell’elettrocardiogramma) e la sindrome tako-tsubo (o cardiomiopatia da stress).
L’infarto è un danno irreversibile a un tessuto ed è provocato da un’ischemia (insufficiente apporto di sangue) prolungata: l’area colpita necrotizza e, se l’individuo colpito da infarto sopravvive, il tessuto necrotico verrà sostituito naturalmente da tessuto cicatriziale connettivo privando l’area della funzione originaria. Solitamente quando si parla di infarto ci si riferisce a quello a carico del miocardio (tessuto muscolare cardiaco): è causato dall’occlusione di una coronaria e dalla conseguente ipossia che interessa la regione irrorata dal vaso ostruito. Anche in questo caso, quindi, la patologia strettamente correlata all’infarto è l’aterosclerosi e i fattori di rischio sono conseguentemente simili a quelli visti per l’angina pectoris. Anche in questo caso uno dei sintomi più evidenti è il dolore al torace, ma è molto più costrittivo e prolungato nel tempo (30-40 minuti) di quello dell’angina pectoris; è in più anche associato ad intensa sudorazione fredda e nausea. Un esame importante che permette di scoprire se sono presenti stenosi ai vasi cardiaci è la coronarografia, indagine invasiva che consiste nell’inserimento di un catetere e nell’iniezione a livello delle coronarie di un liquido di contrasto visibile attraverso una radiografia dinamica. Successivamente si può intervenire tramite l’angioplastica, durante la quale viene introdotto nel sistema circolatorio del paziente un catetere munito di un piccolo palloncino che, una volta gonfiato a livello della stenosi e sgonfiato nel momento opportuno, permette di ripristinare il flusso sanguigno.